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autismo e fattori ambientali biologici postnatali
17/05/2015

AUTISMO: I FATTORI DI RISCHIO AMBIENTALI BIOLOGICI POSTNATALI

I fattori ambientali biologici post-natali associati all'autismo e ai disturbi dello spettro autistico sono numerosi e variano da condizioni di chiaro significato clinico a elementi ancora in fase di riconoscimento scientifico. Sono state reperite valide pubblicazioni sulle malattie autoimmuni, sull'incremento della permeabilità intestinale, sulle infezioni virali, sulle anomalie di sviluppo dell'amigdala, sullo stress ossidativo, sul deficit di vitamina D, su alcuni alimenti e su metalli pesanti. Per la maggior parte di questi fattori di rischio non esistono prove definitive di valore co-causale né tanto meno causale per lo sviluppo di DSA.
Un fattore largamente trattato dai mezzi di comunicazione di massa è stato ed è quello tossico-alimentare, secondo il quale i cibi contenenti glutine o caseina determinerebbero danni del sistema nervoso centrale. I meccanismi che legherebbero questi fattori alimentari ai DSA non sono stati ancora chiariti, una delle ipotesi più accreditate è quella della solfatazione
La Dottoressa Waring dell'Università di Birmingham ha rilevato che la maggior parte degli autistici ha un livello di solfatazione del plasma sanguigno di circa il 17% rispetto alla popolazione generale, con livelli di solfati urinari più alti del normale.
Nell'uomo i solfati vengono assorbiti tramite la parete intestinale solo in piccola parte, mentre la quota proncipale circolante deriva dall'ossidazione della cisteina, un amino acido che contiene zolfo.
L'enzima deficitario sarebbe la fenol-solforico-transferasi, PST nell'acronimo inglese, essenziale nei processi catabolici e d'eliminazione di certe tossine, anche se, sempre secondo la Waring, i sintomi autistici deriverebbero più da una mancanza di biodisponibilità di ioni solfato che da una carenza dell'enzima.
I difetti di solfatazione sono stati associati, in modo ancora scientificamente non definito, ad un aumento della permeabilità della parete intestinale. In altre parole bassi livelli plasmatici di solfati e di sulfotraferasi determinerebbero un intestino "gocciolante", dall'inglese leaky, attraverso il quale alcuni peptidi di derivazione alimentare, come quelli del glutine e della caseina, raggiungerebbero il circolo sanguigno e, attraverso questo, il sistema nervoso centrale, dove svolgerebbero un'azione neurotossica o di alterazione della normale attività neuronale.
Il Professor Reichelt dell'Università di Oslo ha ripetutamente reperito nelle urine di persone con DSA una percentuale più alta del normale di peptidi provenienti dal glutine e dalla caseina. Trovando in questi reperti una conferma alle ipotesi della Dottoressa Waring ha sviluppato una dieta per persone con DSA, atta a ridurre l'introito di glutine e caseina.
La Dottoressa Waring ha successivamente notato che le persone con una buona risposta alla dieta Reichelt in termini di intensità di problemi comportamentali associati ai DSA presentavano bassi livelli plasmatici di solfati e bassa attività delle sulfotrasferasi.
La sindrome dell'intestino permeabile (leaky gut syndrome) legata a certi alimenti è stata chiamata in causa anche per la genesi di molti altri disturbi per i quali ancora non stati dimostrate cause precise o in cui sussistano meccanismi patogenetici complessi con estrema variabilità individuale e coinvolgenti fattori di diversa natura, si citano ad esempio molte malattie autoimmunitarie, il diabete, la sclerosi multipla, la depressione, i disturbi d'ansia, l'intestino irritabile o la sindrome da stanchezza cronica.
La comunità scientifica internazionale giudica la teoria dell'intestino permeabile vaga e non supportata da prove certe. Sussiste ancora un forte dubbio sull'esistenza stessa di una sindrome da intestino permeabile. Mancano anche evidenze di efficacia per i molti sistemi terapeutici lo più legati alla medicina alternativa, attualmente in commercio.
Le raccomandazioni del NICE (National Institute for Health and Care Excellence), riferimento europeo per la maggior parte delle pratiche sanitarie europee, affermano di non considerare le diete speciali nella gestione dei sintomi di DSA o dei problemi comportamentali associati.
Anche la teoria sul deficit di solfatazione lascia perplessi molti ricercatori del settore. Si deve infatti ricordare che l'ossidazione della cisteina, responsabile della maggior parte dei solfati liberi nell'organismo è un processo a chiara regolazione genetica.
Un altro fattore post-natale di grande interesse mediatico sono state le vaccinazioni, in particolare la trivalente per il morbillo, la parotite e la rosolia, in sigla MPR o MMR (in inglese). 
Dal 1998, quando Andrew Wakefield, un medico inglese, pubblicò uno studio che sembrava dimostrare l'esistenza di anticorpi antimorbillo nell'intestino di bambini autistici, la comunità scientifica internazionale ha avviato un intenso percorso di ricerca sulla possibilità che i vaccini infantili potessero causare DSA. Le numerose ricerche metodologicamente corrette, cioè riferite a grandi campioni controllati e non a singoli casi particolari, non solo non hanno mai confermato questa associazione ma hanno anche dimostrato che l'autore del primo studio aveva manipolato i dati e falsificato le conclusioni, corrotto da un avvocato che stava seguendo alcune richieste di risarcimento.
In una ricerca condotta nel 2013 da Frank De Stefano, del CDC (Centro per il Controllo e la prevenzione delle Malattie) di Atalanta, su oltre 1000 bambini con e senza autismo è stata negata anche qualunque possibile base immunologica del nesso di causalità fra vaccino e DSA: infatti non è stato trovato nessun legame con gli antigeni contenuti nei vaccini, cioè con gli elementi che determinano l’attivazione del sistema immunitario. 
Recentemente gli incriminati principali sono stati i metalli pesanti, soprattutto il mercurio, usati dal 2002 come additivo nei vaccini. Ancora una volta la ricerca sui grandi numeri ha mostrato che i bambini vaccinati con prodotti con e senza mercurio hanno lo stesso tasso di DSA. Una prova ancora più forte viene dalla costatazione che, dopo il bando del mercurio dai vaccini, il tasso di autismo è rimasto invariato.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto il seguente pronunciamento all’interno del suo documento ufficiale sull’autismo: “I dati epidemiologici disponibili non mostrano nessuna evidenza di correlazione tra il vaccino trivalente per morbillo, rosolia e parotite e l’autismo, e lo stesso vale per ogni altro vaccino infantile”.
Il rischio di gravi alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso centrale è invece senz'altro più alto in caso di sospensione delle vaccinazioni. Basti pensare al fatto che l'infezione del virus della rosolia nelle gestanti è stato in passato una delle principali cause di grave disabilità intellettiva. In Gran Bretagna dove a seguito della pubblicazione di Wakefield ci sono stati anni con brusco calo di vaccinazioni, si è assistito ad una vera e propria epidemia d'encefalite da morbillo.
L'ufficio stampa dell'Istituto Superiore di Sanità ha recentemente pubblicato un position statement in cui si ribadisce l'assoluta mancanza d'evidenza scientifica sulla possibilità che i vaccini possano causare DSA. La relazione fra vaccinazioni e autismo è già stata affrontata dal CREA in un precedente articolo.
Secondo alcuni ricercatori che hanno dato vita negli Stati Uniti all'associazione Defeat Autism Now! (DAN), l'autismo sarebbe correlato a un’intossicazione da mercurio. Secondo tale ipotesi, visibili miglioramenti si riscontrerebbero in autistici sottoposti a chelazione e correzione degli errori metabolici e delle disorganizzazioni neurologiche. Tale ipotesi non è però generalmente accettata dalla maggior parte degli studiosi.

RIFERIMENTI

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Marco O. Bertelli