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psicopatologia nella sindrome di Prader-Willi
20/01/2020

VULNERABILITÀ PSICOPATOLOGICA DELLE PERSONE CON SINDROME DI PRADER-WILLI - PARTE I

La Sindrome di Prader-Willi (SPW) è una sindrome neurogenetica con un fenotipo comportamentale caratteristico, un'alta incidenza di comportamenti disadattivi e comorbilità psichiatriche. La SPW ha un tasso di incidenza alla nascita di circa 1:25.000 e una prevalenza della popolazione di circa 1:50.000. È stata la prima condizione di interesse sanitario ad esser stata associata all'imprinting genomico, ovvero al processo attraverso il quale i geni sono programmati per essere espressi o restare silenziosi in base all'origine parentale del cromosoma. Una diversa metilazione di un locus genico nei due alleli che compongono il genoma (materno o paterno) costituisce una sorta di impronta (imprinting), che determina l’espressione di uno solo dei due alleli.
Infatti la SPW è dovuta a un’alterazione di geni della regione q11–13 del cromosoma 15, sottoposta a imprinting parentale e attiva solo nel cromosoma paterno. L’alterazione della SPW può consistere in una delezione, totale o parziale, dei geni di derivazione paterna (circa il 70% dei casi), oppure in una disomia uniparentale materna (DUPm),  cioè nella presenza di due copie di origine materna su entrambi i cromosomi 15 (in una percentuale di casi variabile nei diversi studi tra 25–40%), oppure ancora in un difetto o una traslocazione del centro di imprinting (tra il 3 e il 5% dei casi). Studi recenti hanno mostrato un incremento della porzione con sottotipo DUPm nei bimbi nati più recentemente e hanno suggerito che possa dipendere da un aumento dell'età materna media al momento del concepimento.
La SPW si manifesta con alterazioni complesse e mutevoli dello sviluppo: i bambini nascono spesso con ipotonia e difficoltà di suzione, mostrando successivamente parametri auxologici inferiori alla media. Le pietre miliari dello sviluppo della motricità e del linguaggio vengono raggiunte in ritardo ed è presente un certo grado di disabilità cognitiva.
I bambini con SPW vanno spesso incontro anche a una serie di problemi endocrinologici, soprattutto a livello tiroideo, surrenale e gonadico. L'insufficienza o la disfunzione dell'ormone della crescita è comune, portando, in assenza di terapia ormonale sostitutiva, a bassa statura. Anche l'obesità è una caratteristica della sindrome, associata a iperfagia, a sua volta correlata a disfunzione dei centri di regolazione dell'assunzione del cibo e del bilancio energetico dell'organismo. Questa spinta estrema verso il cibo e il conseguente tentativo di frenarla rappresentano uno dei fattori di stress più gravi nell'intera vita delle persone con SPW, in quella dei loro familiari e dei prestatori d'assistenza abituali.
Le persone con SPW mostrano una prevalenza di disturbi comportamentali e psichiatrici molto più alta di quella della media delle persone con disabilità intellettiva, già almeno quattro volte superiore a quella della popolazione generale. In uno studio del 2017 Shriki-Tal e collaboratori hanno rilevato che l'89% dei bambini con SPW di età superiore ai 12 anni presenta almeno un disturbo psichiatrico e che i disturbi più frequenti sono quelli da comportamento dirompente (68%), il disturbo ossessivo-compulsivo (45%) e la dermatillomania (35%).
Il fenotipo comportamentale di base della PWS è caratterizzato da scatti di rabbia, labilità dell'umore, comportamenti ripetitivi o ritualistici e grave dermatillomania, osservabile in tutti i sottotipi genetici.
Il sottotipo genetico DUPm ha una prevalenza sorprendentemente più alta di psicosi (variabile tra il 60 e il 99%) rispetto al sottotipo con delezione, che mantiene una prevalenza simile a quella della media degli adulti con disabilità intellettiva.
La co-occorrenza di disturbo dello spettro autistico si verifica nel 12-25% degli individui con SPW, con il sottotipo genetico DUPm che mostra ancora un rischio significativamente maggiore rispetto al sottotipo con delezione.
Le comorbilità psichiatriche vengono riferite dalle persone con SPW, dai loro familiari e dai prestatori d'assistenza abituali come un distressore ancora più grande dell'iperfagia, con le maggiori difficoltà di gestione e il peggior impatto sulla qualità di vita complessiva.

RIFERIMENTI

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Marco O. Bertelli