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variazioni geniche, neurodiversità ed evoluzione
13/03/2016

L’IMPLICAZIONE EVOLUZIONISTICA DELLA NEURODIVERSITÀ

Negli ultimi mesi del 2015 alcune affermazioni di Sir David Attenborough, decano della divulgazione scientifica sulla biologia evoluzionistica, riguardo all’interruzione dell’evoluzione naturale della specie umana, hanno suscitato un acceso dibattito scientifico-filosofico.
«Noi umani abbiamo fermato la selezione naturale – ha dichiarato Attenborough in un'intervista a «Radio Times» – e di conseguenza l’evoluzione, di cui la selezione naturale rappresenta il principale meccanismo». «Lo abbiamo fatto da quando siamo in grado di far crescere il 95-99 per cento dei nostri figli fino all'età riproduttiva. Siamo la sola specie che abbia messo volutamente un freno alla selezione naturale».
Non è la prima volta che l'idea della fine dell'evoluzione umana si affaccia nel dibattito scientifico, già qualche anno fa c'era chi sosteneva che si stesse manifestando a causa della colonizzazione di tutto il pianeta e del conseguente impedimento dell'isolamento, che sarebbe una condizione essenziale per la nascita di nuove specie.
Ma l'evoluzione non è solo speciazione, per usare un termine tecnico. Tanto che Henry Harpending e John Hawks, dell'Università del Wisconsin, hanno rilevato che da 5.000 anni a questa parte si è modificato almeno il 7 per cento dei nostri geni. Mentre Parvis Sabeti, ad Harvard, ha scoperto prove di cambiamenti recenti del nostro patrimonio genetico, che hanno aumentato le possibilità di sopravvivenza e riproduzione degli individui.
Secondo Peter Ward, paleontologo e astrobiologo dell'Università di Washington a Seattle, negli ultimi 10.000 anni la velocità della nostra evoluzione potrebbe essere addirittura aumentata. E la causa di questa accelerazione sarebbe proprio la diversità degli ecosistemi che abbiamo colonizzato, insieme ai cambiamenti delle condizioni di vita portati prima dall'agricoltura e poi dall'urbanizzazione. Nell'ultimo secolo, poi, c'è stato un ulteriore cambiamento: con l'aumento dei flussi migratori, molte popolazioni che vivevano relativamente isolate sono entrate in contatto con gli altri gruppi. «Mai prima d'ora – sostiene Ward – il pool genico umano ha affrontato un rimescolamento tanto vasto tra popolazioni locali che erano rimaste separate».
La tesi di Attenborough parte invece dalle rilevazioni di Steve Jones, genetista del prestigioso UCL (University College di Londra), secondo il quale «per la nostra specie, le cose hanno smesso di migliorare o di peggiorare già da tempo». Sarebbe infatti la cultura, non l'eredità genetica, il fattore che decide oggi se i singoli vivono o muoiono. Per questo, concorda Attenborough, «fermare la selezione naturale non è poi tanto importante, o deprimente, come potrebbe sembrare, perché il nostro processo evolutivo è culturale».
Gli scienziati e i filosofi che respingono la tesi di Attenborough sono decisamente superiori di quelli che la condividono. Tra i più agguerriti c'è Ian Rickard, antropologo evolutivo dell'Università di Durham, che dal sito del «Guardian» precisava che è discutibile già immaginare la possibilità di svincolarsi dalle forze della natura. Secondo Rickard solo la variazione sarebbe indispensabile per l’evoluzione e si verificherebbe indipendentemente dalle capacità di sopravvivenza dei singoli individui.
Discussioni come questa suscitano un interesse così grande perché le attuali conoscenze sui meccanismi dell’evoluzione e delle variazioni geniche appare ancora gravemente insufficiente a spiegare il cambiamento delle popolazioni umane nel tempo. Secondo la Professoressa Catherine Woods, dell'Università di New York, l'umanità sta certamente evolvendo, ma «non necessariamente come ci aspettiamo».
Secondo una nuova scuola di pensiero minoritaria, che vede in prima fila Daniel McShea e Robert Brandon, della Duke University, le strutture complesse degli organismi potrebbero evolversi grazie a mutazioni casuali, senza il soccorso della selezione darwiniana.
Aderendo a questa interessante teoria, le persone portatrici di disabilità genetiche, incluse varie forme di disabilità intellettiva, ovvero di neurodiversità, rappresenterebbero un’espressione di questa inevitabile dinamica naturale volta all’acquisizione di competenze adattive. Il concretizzarsi di quest’ultime dipenderebbe solo dallo specifico contesto ambientale e socio-culturale.
Il fatto che molte malattie e disabilità su base genetica continuino a presentarsi, anche come variazioni de novo del genoma derivato dai gameti dei genitori sembra rappresentare una conferma a questa teoria. Alcuni genetisti hanno ipotizzato che questo tipo di mutazioni rappresenti un meccanismo di compensazione da parte della natura delle perdite alleliche dovute alla bassa fecondità delle persone con disturbi del neurosviluppo, definendo così uno dei maggiori paradossi della teoria genetica evoluzionistica.
L’incremento di volume di circa tre volte rispetto all’antenato prossimo condiviso dall’uomo con gli altri primati non trova ancora spiegazione. L’analisi delle microstrutture di molte regioni della corteccia cerebrale umana e di molte strutture sottocorticali ha rilevato differenze poco compatibili con la teoria di un semplice miglioramento graduale e lineare del cervello attraverso la filogenesi. La comprensione del valore funzionale delle variazioni geneticamente determinate dei circuiti neurali può essere favorita proprio dagli studi sullo sviluppo umano atipico, sulla neurodiversità e sulle mutazioni genetiche che l’hanno determinata. Molti disturbi del neurosviluppo sono caratterizzati da alterazioni di funzioni cognitive ed esecutive, come l’apprendimento, il linguaggio o le capacità relazionali. Comprendere i meccanismi genetici e di sviluppo del sistema nervoso centrale che determinano la varietà di tali funzioni, più o meno normale o patologica, osservabile in natura potrebbe aiutare a chiarire alcuni meccanismi di base del processo evolutivo. Ad esempio lo studio dei fenotipi cognitivi e comportamentali associati alla delezione genica delle persone con sindrome di Williams e ai numerosi e rapidi cambiamenti del genoma deleto potrebbe fornire validi modelli d’interpretazione dell’interazione fra assetto genetico e processi di neurosviluppo.

RIFERIMENTI
- Cattaneo M. La fine dell'evoluzione umana? Le Scienze Blog. http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/09/23/la-fine-dellevoluzione-umana/comment-page-1/?refresh_ce (u.v. 10/2/16)
- Gécz J. The molecular basis of intellectual disability: novel genes with naturally occurring mutations causing altered gene expression in the brain. Front Biosci. 2004 Jan 1;9:1-7.
- Hanson KL, Hrvoj-Mihic B, Semendeferi K. A dual comparative approach: integrating lines of evidence from human evolutionary neuroanatomy and neurodevelopmental disorders. Brain Behav Evol. 2014;84(2):135-55.
- Vissers LE, de Ligt J, Gilissen C, et al. A de novo paradigm for mental retardation. Nat Genet. 2010 Dec;42(12):1109-12.

Marco O. Bertelli