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microbiota, microbioma, micobiota e autismo
24/05/2018

MICROBIOTA E NEUROSVILUPPO: UNA NUOVA FRONTIERA DI STUDIO DELLA CONTINUITÀ FRA INDIVIDUO E AMBIENTE NELL'AUTISMO - PARTE II

Un numero crescente di evidenze scientifiche lega il microbiota intestinale al disturbo dello spettro autistico (DSA). Molti studi hanno individuato delle differenze significative nella composizione della flora intestinale fra persone con DSA e controlli, sia nell'età infantile che in quella adulta. Fra i batteri in eccesso vi sono quelli del genere Clostidria, associati a stress e ansietà, e quelli del genere Sutterella Wadsworthensis, associati a infezioni gastrointestinali, morbo di Crohn e colite ulcerosa. Anche alcuni funghi, per i quali si parla di micobiota, sono risultati alterati nell’intestino delle persone con DSA. La candida ad esempio è risultata abbondante e collegata a processi infiammatori, anche sistemici. Può attivare massivamente il sistema immunitario dell’ospite sia per interazione diretta che attraverso l’induzione di modifiche del microbiota, in particolare del numero di lattobacilli; può incrementare la produzione di interleuchina 22, una citochina implicata nella patogenesi di molte malattie autoimmuni, come il Crohn e l’artrite reumatoide. Un eccesso di Candida riduce anche la possibilità di riequilibrare la flora intestinale, soprattutto dopo alterazioni persistenti.
Un incremento rilevante della Candida e una più generale predisposizione alle infezioni fungine, talora con interessamento sistemico, sono stati rilevati anche nell’intestino delle maggior parte delle persone con sindrome di Rett.
Dismicrobismi ntestinali sono stati associati anche a eccessiva produzione di serotonina, alterazioni del metabolismo del triptofano (entrambe riscontrate nelle persone con DSA), dolori addominali, infiammazione e aumento di citochine infiammatorie. Le ricerche su modelli animali mostrano che alcune alterazioni del microbiota possono produrre cambiamenti consistenti dei sintomi comportamentali dell'autismo, alla cui base è stata ipotizzata la produzione di tossine, la degenerazione dei prodotti o dei processi di fermentazione, anomalie immunologiche e metaboliche.
Un recente studio dell'Università della California (USA) ha evidenziato come il microbiota intestinale di bambini affetti da DSA sia diverso da quello di bambini neurotipici e come i sintomi gastrointestinali nei bambini con DSA si accompagnino ad alterazioni delle citochine infiammatorie e ad un’aumentata permeabilità intestinale.
La selettività alimentare tipica di molte persone con DSA potrebbe esser legata alla particolare composizione del microbiota, ma le conoscenze a riguardo sono ancora limitate e non permettono di individuare nessi causali che possano valere per la maggior parte delle persone. Anche gli studi in cui sono stati somministrati probiotici, nel tentativo di migliorare il microbiota intestinale, sono ancora scarsi, contraddittori e incompleti. Pertanto le diete o in generale gli interventi nutrizionali o nutraceutici non dovrebbero essere praticati in maniera indiscriminata, ma solo nei casi in cui siano state rilevate alterazioni o carenze specifiche e con i dovuti accorgimenti. Le diete GFCF (prive di glutine e di caseina) sembrano aver avuto una qualche utilità solo in un numero limitato di bambini, mentre sono state associate a cambiamenti negativi del metabolismo in molti altri casi. Analogamente, l’integrazione di vitamina D o di ferro dovrebbe essere attuata solo quando siano state rilevate carenze di questi micronutrienti, tenendo conto che un loro eccesso potrebbe essere dannoso. La somministrazione di omega-3 risulta particolarmente utile nei casi di dislipidemia, valutabile con esami svolti presso centri qualificati. In alcuni casi l’utilizzo di acidi grassi polinsaturi richiede una copertura antiossidante, soprattutto quando contengano alte percentuali di omega-6, che vengono ossidati velocemente e, nei pazienti con meccanismi antiossidanti più deboli, possono produrre accumulo di sostanze tossiche.
Molto interessante è anche il rapporto tra il microbiota materno e quello del feto e del neonato. Fino a un paio di anni fa si riteneva che i batteri materni non potessero superare la placenta e colonizzare il feto. Studi recenti mostrano invece che ciò avviene. Il microbiota materno si trasferisce al bambino anche durante il passaggio nel canale del parto e durante l’allattamento.

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Marco O. Bertelli