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antipsicotici
06/12/2017

RIDUZIONE E/O SOSPENSIONE DEI FARMACI ANTIPSICOTICI NELLA GESTIONE DEI COMPORTAMENTI PROBLEMA IN PERSONE CON DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO: NUOVI DATI DALLA RICERCA E IMPLICAZIONI PER LE BUONE PRATICHE (PARTE PRIMA)

I farmaci antipsicotici vengono prescritti spesso alle persone con disabilità intellettiva (disturbi dello sviluppo intellettivo) per gestire comportamenti problema, anche in assenza di esplicitazione tecnica di una loro equivalenza a sintomi di disturbi psichiatrici co-occorrenti. Nonostante il largo impiego, soprattutto in setting ospedalieri e di comunità, le prove della loro efficacia risultano scarse e ancora insufficienti. Nel 2012 la scoperta dell'uso sistematico e talora dell'abuso di questi farmaci con le persone con disabilità intellettiva nell’ospedale di Winterbourne View nel Regno Unito ha scandalizzato la popolazione di mezza Europa. La risposta del governo britannico è stata quella di promuovere un’azione di miglioramento delle pratiche psicofarmacoterapeutiche e psicodiagnostiche nei confronti delle persone con disturbi del neurosviluppo, soprattutto quelle con maggiori difficoltà di comunicazione. Attualmente le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence(NICE) indicano di utilizzare farmaci antipsicotici solo per precise indicazioni cliniche, per cui sia stato chiaramente dimostrato che i vantaggi superino ampiamente gli effetti negativi; negli altri casi si raccomanda di utilizzare in prima battuta terapie comportamentali e relazionali.
Una delle criticità maggiori delle terapie con antipsicotici nelle persone con disabilità intellettiva (disturbi dello sviluppo intellettivo) è la tendenza a mantenerle per lunghi periodi, con un aumento del rischio di effetti collaterali rispetto all’uso limitato nel tempo. In generale le persone con disabilità intellettiva vengono spesso indicate dalla ricerca clinica come più vulnerabili agli effetti indesiderati rispetto alla popolazione generale, anche se gli studi su questo aspetto risultano scarsi, soprattutto di confronto diretto. Gli effetti collaterali più frequenti sono disturbi del movimento, alterazioni del ritmo cardiaco, disfunzioni endocrine/metaboliche, eccessiva sedazione e peggioramento delle performance cognitive, soprattutto in caso di uso combinato con altri agenti anticolinergici.
Le ragioni della persistenza delle terapie antipsicotiche appaiono molto varie, tanto da includere fattori di polarità opposta, come l’efficacia sui comportamenti problema o sui sintomi psichiatrici da un lato e la scarsa risposta clinica dall’altro, oppure la disponibilità di trattamenti alternativi o il timore da parte dei clinici o dei caregiver che la sospensione possa determinare un aggravamento della condizione disfunzionale.
Recentemente tale questione è stata affrontata da alcuni ricercatori dell’University College of London, che hanno condotto una revisione sistematica degli studi orientati a valutare la percentuale di casi in cui la farmacoterapia antipsicotica è stata sospesa definitivamente e il suo effetto sul comportamento, la salute fisica, la salute mentale, il funzionamento cognitivo, il funzionamento adattivo e la qualità di vita.

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Michele Rossi e Marco O. Bertelli