L'Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) ha definito il dolore come “un’esperienza sensitiva ed emotiva speciale, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”. La IASP ha voluto evidenziare il fatto che il dolore non equivale ad una semplice nocicezione e ne ha sottolineato la natura soggettiva: “... ogni individuo apprende il significato del dolore attraverso le esperienze correlate ad una lesione durante i primi anni di vita. … alla componente somatica si accompagna una carica emozionale".
Tale definizioni e tali considerazioni sembrano essere di difficile applicazione alle persone con Disturbi dello Sviluppo Intellettivo (DSI), che spesso presentano difficoltà di verbalizzazione e/o di comunicazione generale.
Per molto tempo si è sostenuto che le persone con DSI non esperissero il dolore come le persone con capacità cognitive nella media, che fossero meno sensibili o addirittura insensibili agli stimoli dolorosi. Negli anni questo punto di vista ha ottenuto e continua ad ottenere disconferme dalla comunità scientifica. Tuttavia sono ancora scarsi gli studi che hanno approfondito il problema del dolore nei DSI in termini di prevalenza, assessment, etiologia e gestione-cura.
La mancanza di dati epidemiologici sembra in parte dovuta a difficoltà metodologiche. Le manifestazioni del dolore sono spesso atipiche, per esempio attraverso alterazioni del comportamento o comportamenti problema, come aggressività auto o eterodiretta. Le fonti d'informazione sono quasi sempre rappresentate da proxy, familiari o prestatori d'assistenza professionali. La letteratura più recente sottolinea invece l’importanza di integrare auto ed etero valutazioni. In caso di gravissima compromissione della capacità comunicativa un metodo di rilevazione con buona affidabilità e validità sembra essere l’osservazione strutturata e sistematizzata del comportamento da parte di più proxy.
Gli studi disponibili indicano un'elevata vulnerabilità allo sviluppo di problemi di salute fisica e quindi a ripetute esperienze dolorose. Il dolore cronico sembra affliggere circa il 15% delle persone con DSI.
Studiando alcune tra le più comuni sindromi genetiche includenti DSI, i dottori De Knegt e Scherder, ricercatori del Dipartimento di neuropsicologia clinica dell'Università di Amsterdam, sono arrivati a sostenere che nei DSI e nelle demenze alcune alterazioni strutturali della sostanza bianca e grigia delle aree cerebrali correlate al dolore possano modificarne la percezione. La riduzione della materia bianca caratterizzante la sindrome dell'X fragile, per esempio, sembra essere correlata ad una minore tolleranza al dolore, mentre le alterazioni peculiari della sindrome di Prader-Willi si associano ad un’alta soglia al dolore e ad un’alterata percezione della temperatura.
Nel 2011 il dottor Walsh ed i suoi collaboratori della Scuola di Psicologia dell'Università Nazionale dell'Irlanda hanno individuato alcuni fattori di rischio specifici dei DSI per lo sviluppo di condizioni cliniche includenti dolore. Questi includono bassi livelli di attività fisica, maggior tendenza a lesioni accidentali, ridotto coinvolgimento decisionale in aspetti legati alla salute, limitato accesso ai servizi per la gestione del dolore e invecchiamento precoce (artriti, artrosi). Vi è anche un aumento della prevalenza di disturbi muscolo-scheletrici nella sindrome di Down, nella sindrome dell’X fragile e nella sindrome di Williams.
Sebbene l’attenzione sia crescente, la valutazione del dolore nelle persone con DSI non è ancora parte della pratica clinica abituale. Sono auspicabili ulteriori sforzi di produzione e disseminazione di conoscenze specialistiche. Le tecniche di neuroimaging e le misure elettrofisiologiche sembrano poter fornire contributi significativi.
RIFERIMENTI
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- Walsh M, Morrison T, McGuire BE. Chronic pain in adults with an intellectual disability: prevalence, impact and health service use based on caregiver report. Pain 2011; 152:1951–1957.