Ai primi del '900 si scoprì che un derivato dell'anilina, la prometazina, possedeva interessanti proprietà antistaminiche, antiemetiche, antiessudative, ma soprattutto sedative ed ipnotiche, da cui il nome di neurolettico. Dalla prometazina, per favorire un'azione più sicura sul sistema nervoso centrale, fu sintetizzata la clorpromazina di cui Delay e Deniker individuarono successivamente la capacità di ridurre l'intensità e la pervasività dei sintomi psicotici.
Grazie all'enorme successo commerciale della cloropromazina, venne avviata un'intensa ricerca su farmaci simili e nel giro di una decina di anni si giunse all'individuazione e alla messa a punto di quasi tutti i principali neurolettici utilizzati fino alla fine degli anni 90 o ancora in uso. Oltre alle fenotiazine, simili alla cloropromazina, le sottoclassi principali sono rappresentate dai tioxanteni, dalle dibenzazepine, dai butirrofenoni e dalle difenilbutilpiperidine.
Tutti questi farmaci hanno mostrato di poter determinare disfunzioni del sistema extrapiramidale, alcune anche tardive o irreversibili, favorire la comparsa di appiattimento affettivo o non contrastare i sintomi negativi delle psicosi gravi e croniche.
Solo la clozapina, una dibenzodiazepina scoperta negli anni 70, non aveva questi limiti ed è stata scelta come capostipite del nuovo gruppo di antipsicotici, cosidetti 'atipici' o 'di seconda generazione', che trovano oggi un ampio impiego. Questi includono, tra gli altri, il risperidone, l'olanzapina, il sertindolo, lo ziprasidone, l'aripiprazolo, la quetiapina, il paliperidone, la zotepina, l'amperozide, la savoxepina.
La spiegazioni maggiormente accreditate delle capacità cliniche e della maggiore sicurezza di questi nuovi farmaci riguardano la capacità di interagire con molti più sistemi neurotrasmettitoriali dei vecchi neurolettici e di svolgere un'azione molto più selettiva nelle zone del sistema nervoso centrale responsabili dell'insorgenza dei sintomi. Particolarmente importante è risultata l'affinità ad ampio spettro per i recettori della serotonina e della dopamina.
L’effetto terapeutico degli antipsicotici di prima generazione sul funzionamento cognitivo è piuttosto limitato, anche se un certo numero di studi pionieristici aveva dimostrato che potevano migliorare la performance in alcune prove di attenzione e vigilanza. I risultati ottenuti successivamente non sono stati univoci. Piuttosto, i neurolettici tradizionali sembrano in grado di determinare, accanto ai già citati effetti extrapiramidali, anche sintomi cognitivi avversi, complessivamente inscrivibili nella cosiddetta Sindrome Deficitaria Indotta da Neurolettici. Per questo motivo il loro uso nelle persone con disabilità intellettiva è stato ed è tuttora oggetto di numerose riserve e attenzioni.
Il confronto tra antipsicotici atipici e tradizionali ha inizialmente posto molta enfasi sull'efficacia degli antipsicotici atipici nel migliorare diversi domini neuropsicologici quali la fluenza verbale, le funzioni esecutive e le funzioni motorie fini, poi in parte ridimensionata. Dati più recenti hanno evidenziato differenze più modeste tra antipsicotici di prima e seconda generazione, con un miglioramento parziale delle funzioni cognitive in seguito al trattamento con antipsicotici atipici, espresso sia in termini di funzionamento cognitivo globale che specifico.
Le valutazioni effettuate non includono le implicazioni dell'aderenza al trattamento e delle misure di esito centrate sulla persona, come la qualità di vita. I risultati potrebbero indicare un uso improprio degli interventi farmacologici, ma anche individuare più chiare differenze tra molecole di vecchia e nuova generazione.
RIFERIMENTI
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